Le “colinde” di Bartók: un regalo di Natale

21 Dicembre 2017 By

“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia…”

dal Vangelo secondo Matteo, Mt 5, 1-12

 

Le “colinde” sono dei canti natalizi romeni che, come accade spesso nella tradizione popolare, venivano eseguiti da ragazzi e uomini, andando di casa in casa, in cambio di piccoli doni. La caratteristica di questi canti, che Bartók raccolse soprattutto in Transilvania, è che non trattano temi religiosi e legati al Natale ma si ispirano alla natura, al lavoro dei pastori, agli antichi eroi, rispecchiando la loro origine di riti per la celebrazione del solstizio d’inverno. Basta guardare le prime parole, riportate fedelmente da Bartók, di alcune colinde:

Pă cel plai de munte, Doamne, merg oile ‘n frunte, 1A (Su quali crinali di montagna – signore – vanno le pecore …) 

Deasupra pã rãsãritu, Doamne, ioj Domnului, Doamne, mândrui câmpu dînfluritu, 2 B (Al sorgere del sole – signore, signore – il campo fiorito splende orgoglioso in tutta la sua luce… )

Colo’n jos la munte’n josu, florile, flori dalbe de măr, Sânt tri turme de oae , 1B (Laggiù, giù dalla montagna – fiori, fiori bianchi di melo – ci sono tre greggi di pecore…)

Queste composizioni sono solo una piccola parte dell’immenso lavoro diBartók sulla musica popolare, iniziato nel 1906 con i viaggi di ricerca e raccolta insieme a Kodály e al fedele fonografo Edison, e proseguito con passione fino allo scoppio della prima guerra mondiale. 

Le vicende del dopoguerra, con gli sconvolgimenti della carta geopolitica dell’Europa Orientale (la Transilvania, ad esempio, passa dall’Ungheria alla Romania alimentando il revanscismo fascista nascente) renderanno impossibile il lavoro di Bartók “sul campo”. Continuerà però il suo lavoro di riflessione teorica e di pubblicazione, e la polemica contro le accuse e le critiche per lo spazio dedicato alla musica popolare non ungherese da parte di una cultura istituzionale sempre più “nazificata”. La raccolta delle “colinde” (1915) viene pubblicata solo nel 1935, a sue spese.

E a questo punto viene spontaneo il collegamento con un’altra opera del 1930, la Cantata profana. Nei modi classici della cantata viene rievocata un’antica leggenda romena, affine ai temi delle colinde, e trova voce il senso di estraneità e di rifiuto della società del suo tempo che porterà Bartók alla scelta dell’esilio dall’Ungheria nel 1940 e alla dolorosa solitudine dei suoi ultimi anni negli Stati Uniti.

(dalla Cantata profana: le parole del figlio trasformato in cervo al padre che lo supplica di tornare a casa.

Figlio: Caro padre nostro, / vattene tu a casa / dalla nostra madre, / che le nostre corna non passano per la porta, /ma solo sui monti …).

https://www.youtube.com/watch?v=hMsXdiNuCPI

{loadposition condividi,xhtml}